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Primo Levi storico


Cerimonia di intitolazione a Primo Levi del museo di chimica dell'Università La Sapienza, Roma, 25 marzo 2009, ore 10
Intervento di Liliana Picciotto

Vi porto il saluto della Fondazione CDEC, un istituto nazionale di storia contemporanea dell'ebraismo italiano, con sede a Milano, e ringrazio il rettore e il prorettore, il direttore del museo di chimica e gli organizzatori per il cortese invito a partecipare a questa cerimonia.

Primo Levi è un intellettuale a tutto tondo che, con la sua esistenza e il suo pensiero, ha saputo dare un lucido sguardo sull'umanità. In questo senso il suo posto è fra i grandi del mondo, fra coloro che hanno avuto una visione profetica del nostro presente.

Levi, torna da Auschwitz con il bisogno impellente di scrivere. Così si racconta durante un'intervista: "Sentivo un bisogno così prepotente di raccontare, che raccontavo a voce. Allora, nel lager, facevo spesso un sogno: sognavo che tornavo, rientravo nella mia famiglia, raccontavo e non ero ascoltato. Colui che mi sta davanti non mi sta a sentire, si volta e se ne va. Ho raccontato questo sogno in lager, ai miei amici, e loro hanno detto:" Capita anche a noi". E poi l'ho trovato, tale e quale, citato da altri reduci che hanno scritto le loro memorie. ..E' quasi il sogno di un bisogno primario, così era il bisogno di raccontare. Era già lì un bisogno fondamentale. Io poi ho scelto lo scrivere come l'equivalente di raccontare".
L'opera di Primo rappresenta una straordinaria sovrapposizione di mondi interiori diversi: è un luogo di incontro tra interesse scientifico, scrittura, meditazione, storia del Novecento, identità ebraica.

Ci sono decine di volumi sulla sua scrittura, vista attraverso tutte queste sfaccettature, e, ovunque, si ritrova il Levi biografo di se stesso, Levi che guarda con estrema lucidità dentro a se stesso per farsi specchio dell'animo umano. Egli è un chimico che lavora in fabbrica, uno scrittore che lavora a casa la sera, è un ebreo che si definisce ebreo anagrafico, non praticante, né credente, ma consapevole della sua appartenenza ancestrale. Racchiude in se i tre personaggi e, con questo ibrido interiore, guarda e si racconta.

La lente di ingrandimento è però costantemente Auschwitz. Cito: "Questa è l'esperienza da cui sono uscito e che mi ha segnato profondamente. Mi ha segnato ma non mi ha tolto il desiderio di vivere: anzi, me l'ha accresciuto, perché alla mia vita ho conferito uno scopo, quello di portare testimonianza, affinché nulla di simile avvenga più". Poi, ne La vita offesa, chiarisce anche meglio: "Se morremo qui in silenzio come vogliono i nostri nemici, se non ritorneremo, il mondo non saprà di che cosa l'uomo è stato capace, di che cosa è tuttora capace: il mondo non conoscerà se stesso, sarà più esposto di quanto non sia ad un ripetersi..." . La memoria dello sterminio ha, per Levi, una funzione conoscitiva primaria, un antidoto alla barbarie.

Seguendo l'intuizione di Mario Barenghi (La memoria dell'offesa. Ricordare, raccontare, comprendere), lo scopo della scrittura di Se questo è un uomo è espresso tutto nell'incipit poetico del libro. Primo si rivolge direttamente ai lettori e richiama la loro attenzione su quanto sta per dire, in una forma esortativa fortissima: "Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case. Voi che trovate tornando a casa il cibo caldo e visi amici..." Il lettore viene subito colpevolizzato, gli viene indirizzato non un invito ma un ordine, peggio, una maledizione, qualora osasse trasgredire all'imperativo della meditazione e del ricordo: "Meditate che questo è stato. Vi comando queste parole. O vi si sfaccia la casa . La malattia vi impedisca... " . Accingendosi a rievocare la storia di un persecuzione senza precedenti , Levi non maledice i persecutori, maledice chi volesse sottrarsi alla responsabilità. Anche dal punto di vista letterario, ci troviamo davanti a una forma straordinaria di scrittura, penetrante e invasiva.

Sulla funzione della memoria nell'opera di Levi non vi è alcun dubbio. Ma vi è un aspetto forse ancora poco illuminato della sua opera, quella dello storico. Storia e memoria si muovono su due piani diversi, il primo è un sapere, il secondo è un imperativo etico. Nel primo si spiega, si descrive, si capiscono i nessi causali, nella seconda si racconta di un'esperienza, si cerca di rintracciarne il senso per il nostro presente. Levi non si sottrae a nessuno dei due piani.

Sull'argomento ho un interesse specifico dato che di mestiere faccio la storica: ricerco i documenti, li metto insieme, offro una mia interpretazione della realtà. Ogni traccia del passato mi è utile per descrivere un avvenimento del passato, una data, una lettera, un ricordo, un numero di matricola del campo, un cucchiaio riportato a casa; tutto serve ad identificare nello spazio e nel tempo una situazione. Sapere per esempio che una persona è stata deportata in dicembre piuttosto che in maggio ci dice molto sulle sue afflizioni nel campo: se ha sofferto il freddo , se ha vissuto le epidemie del campo, se è stata più dura la fame o la violenza dei guardiani, se è stato ricoverato in un ospedale già gremito di gente con scarsa o nulla assistenza medica, se nel suo tempo si verificarono le terribili selezioni interne dei debilitati per le camere a gas.

Ho passato 12 anni a rintracciare i nomi degli ebrei arrestati in Italia e deportati durante il tragico periodo del fascismo e del nazismo, fra il 1943 e il 1945. Alla fine ho potuto scrivere un compendio pubblicato sotto il nome de Il libro della Memoria che contiene circa 8.000 nomi di cittadini fatti oggetto di una sorte simile a quella di Primo Levi. Arrestati perché alla loro ricerca c'erano centinaia di poliziotti, rinchiusi in prigioni provvisorie, poi concentrati nel campo di Fossoli vicino a Carpi e da lì a scaglioni deportati verso il campo di Auschwitz dove erano sistemati gli impianti per l'assassinio di massa mediante gas venefico.

Ho da poco pubblicato la ricerca sul campo di Fossoli che ho intitolato L'alba ci colse come un tradimento. Gli ebrei nel campo di Fossoli 1943-1944. Per il titolo, ho preso in prestito da Primo Levi una sua espressione che descrive il risveglio dei detenuti al campo, alla vigilia della loro deportazione. Mi sembrava che in quella frase "L'alba ci colse come un tradimento" fosse rinchiuso tutto il grido di protesta di Levi per un'alba torva e non gioiosa, un'alba traditrice che replicava, in natura, il tradimento dell'uomo verso l'altro uomo.

Ma tornando al Primo Levi anche storico, devo dire che ho trovato in Se questo è un uomo molti dati che mancavano alla mia ricostruzione storica. Egli è attentissimo a ciò che succede attorno a lui. Il libro si apre con una data: "Ero stato catturato dalla milizia fascista il 13 dicembre 1943." Infatti, era da poco passata la fatidica data del 30 novembre 1943 quando il governo della Repubblica Sociale Italiana aveva emanato un'ordinanza per l'arresto di tutti gli ebrei che si trovavano sul territorio nazionale. Gli esecutori dell'ordinanza sarebbero stati i poliziotti, i carabinieri, la milizia fascista. Ed ecco che Levi ci parla, con la sua testimonianza, di questo avvenimento, confermando ciò che la storiografia aveva già avanzato. E, ancora, Levi dopo la cattura si dichiara ebreo e come tale viene inviato a Fossoli, istituito in ottemperanza appunto all'ordinanza del 30 novembre precedente e dove sono mandati per l'appunto tutti gli ebrei arrestati. Levi , più avanti, è di nuovo preciso: dice che al momento del suo arrivo, alla fine del gennaio del 1944, gli ebrei italiani nel campo erano 150 circa, ma entro poche settimane il loro numero giunse a oltre seicento. Questa frase ci informa sul fatto che inizialmente gli ebrei erano arrestati ma non mandati immediatamente a Fossoli per l'impreparazione materiale del campo non pronto ad accogliere tante persone, ma che avvicinandosi la data della partenza, fu raggiunto il numero di 600.

Più avanti Levi ci informa che il 20 febbraio un piccolo reparto di SS si era presentato al campo ispezionandolo con cura. E, difatti, nel periodo precedente, solo la guarnigione italiana era addetta a Fossoli, mentre ora da Verona dove aveva sede la centrale della Gestapo Italia, fu mandato un manipolo di SS ad organizzare la prossima partenza del 22 febbraio per Auschwitz. L'annuncio, secondo Levi, fu dato il 21 mattina e la mattina del 22 i detenuti furono contati, su 12 vagoni furono caricati in 650. Sul numero dei vagoni, documenti francesi confermano che il numero ottimale di deportati per vagone era di circa 50-55 persone, la conferma della testimonianza di Levi è piena. Sul numero dei partenti, sul quale do credito a Levi, ho invece molti problemi inerenti alla manchevolezza della mia ricerca, dato che la lista di trasporto compilata al campo e portata a mano dal caposcorta fino al campo di Auschwitz non è mai stata ritrovata. Per quante ricerche io abbia fatto in Italia e all'estero, recandomi negli archivi delle carceri, negli archivi comunali, negli archivi di stato di molte città, nell'archivio di Auschwitz in Polonia e in molti altri luoghi, tutto quello che sono riuscita a ritrovare sono state 517 persone deportate alla stessa data di Levi. Ne mancano dunque all'appello 133. 133 persone non scoperte, non nominate ne Il libro della memoria, non ricordate da nessuno perché non identificate. Persone scomparse nel nulla sulle quali, i nazisti l'hanno avuta vinta con il loro obiettivo di eliminazione fisica e morale della maggior parte del popolo ebraico, sono ancora numeri senza volto e senza identità, ma l'indicazione di Primo Levi del loro numero esatto non mi da pace e sono sicura che in futuro riuscirò a rintracciarle. Un altro esempio dello sguardo attento di Levi è il seguente passaggio: "passammo il Brennero alle dodici del secondo giorno e tutti si alzarono in piedi e nessuno disse parola". Siamo qui informati che questo convoglio è passato dal Brennero ormai liberato dalla neve che era caduta abbondante quell'inverno e non dal passo del Tarvisio come aveva fatto il convoglio precedente, partito il 30 gennaio 1944. Gli esempi di Primo Levi anche storico, nel senso di attento osservatore della realtà che lo circondava per poterla in seguito restituire in tutta la sua precisione, sono molteplici e non vi voglio tediare. Ne voglio però nominare almeno un altro che mi ha particolarmente colpita. In Se questo è un uomo vi è il seguente drammatico passaggio: "Soffrivamo per la sete e il freddo: a tutte le fermate chiedevamo acqua a gran voce, o almeno un pugno di neve, ma raramente fummo uditi; i soldati della scorta allontanavano chi tentava di avvicinarsi al convoglio. Due giovani madri, coi figli ancora al seno, gemevano notte e giorno implorando acqua". Ebbene, ho avuto riscontro oggettivo a questo stato di cose non più di qualche mese fa. Ecco che cosa ho scoperto tra le carte dell'archivio di deposito del comune di Carpi: un dossier conteneva tra le altre, le fatture delle forniture di cibo al campo di Fossoli. Alle date 28 febbraio e 6 marzo risultano due fatture emesse da una ditta locale per due forniture di marmellata da kg 580 ciascuna, al prezzo di lire 10.000 ciascuna. La deduzione è immediata: i deportati descritti da Levi soffrivano la sete perchè era stata distribuita loro alla partenza, per il viaggio, non acqua ma una quantità esorbitante di inutile marmellata. Il cerchio si chiude: la storia e la memoria hanno qui dialogato perfettamente: noi sappiamo molte più cose su quell'avvenimento, ma conosciamo anche molte più cose sull'uomo.

 

 

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